Con l’avvicinarsi del nuovo anno, una nuova tassa sui pacchi di acquistati online si appresta a cambiare lo shopping digitale in Italia.
Il governo italiano ha infatti inserito questa misura negli emendamenti alla manovra di Bilancio 2026, in attesa di approvazione definitiva entro fine anno. Un’imposta che, sebbene nominalmente contenuta, rischia di avere impatti significativi soprattutto per le famiglie che effettuano acquisti frequenti su e-commerce nazionali e internazionali.
Originariamente pensata per colpire esclusivamente le spedizioni extra-Unione Europea, in particolare quelle provenienti dalla Cina, la tassa ha subito una necessaria revisione a seguito delle restrizioni comunitarie. L’Unione Europea ha infatti dichiarato illegittima l’applicazione del prelievo solo sui pacchi extra-UE, in quanto si configurerebbe come un vero e proprio dazio doganale, di competenza esclusiva di Bruxelles. Per aggirare questo ostacolo, l’esecutivo italiano ha deciso di estendere il contributo a tutte le spedizioni di valore inferiore ai 150 euro, siano esse in ingresso o in uscita dal territorio nazionale.
Il valore soglia di 150 euro ha una portata ampia: quasi tutti i pacchi ricevuti dagli utenti italiani rientrerebbero in questa categoria. Secondo le stime, una famiglia che realizza 3-4 ordini mensili online potrebbe ritrovarsi a sostenere un aggravio annuo tra i 72 e i 96 euro, una cifra non trascurabile in un contesto economico segnato da una crescita salariale stagnante rispetto all’inflazione.
A livello comunitario, la stessa UE ha annunciato per il 1° luglio 2026 l’introduzione di un dazio fisso di 3 euro sui piccoli pacchi sotto i 150 euro, con la ripartizione del gettito fiscale tra lo Stato membro di ingresso (25%) e le casse europee (75%). Questa misura mira a contrastare la concorrenza sleale esercitata dall’e-commerce cinese, che nel 2024 ha rappresentato il 90% delle microspedizioni in Europa, per un totale di 4,6 miliardi di pacchi.
Impatto sulle famiglie e sul mercato: disincentivo agli acquisti di piccolo valore
L’applicazione della tassa da 2 euro sui pacchi a basso valore rischia di penalizzare in modo significativo i consumatori più sensibili al prezzo. Per un acquisto di soli 5 euro, l’imposta rappresenterebbe un incremento del 40%, mentre su un prodotto da 10 euro il costo finale salirebbe a 12 euro. Questa dinamica potrebbe disincentivare gli acquisti di prodotti economici e piccoli accessori, influenzando negativamente il crescente settore dell’e-commerce, che nel 2024 in Italia ha raggiunto un valore complessivo di 40 miliardi di euro.
Dal punto di vista tecnico, la tassa è a carico del venditore ma viene quasi sempre trasferita al consumatore tramite l’aumento del prezzo finale. Gli ordini di valore contenuto, già penalizzati da spese di spedizione spesso non esenti, vedranno quindi un ulteriore incremento dei costi. Alcuni marketplace, come Amazon, offrono esenzioni o riduzioni per i clienti iscritti a programmi premium, ma la maggior parte degli acquirenti non ne beneficia.
Il lato positivo di questa misura potrebbe essere un lieve rilancio del commercio fisico di prossimità, che potrebbe recuperare parte della clientela scoraggiata dalle nuove tariffe dell’e-commerce. Tuttavia, il balzello non sostiene in alcun modo la competitività delle imprese italiane, anzi rischia di falsare ulteriormente la competizione con mercati esteri a basso costo.

Questioni di mercato e libertà del consumatore (www.alchimiadellepietre.it)
Se l’obiettivo originario della tassa era di tutelare il Made in Italy e di contrastare l’ingresso di prodotti a basso costo dall’Asia, la soluzione adottata colpisce indiscriminatamente tutti i venditori e acquirenti di piccoli pacchi, configurandosi come una misura paternalistica e poco coerente con i principi di libero mercato e libertà di scelta del consumatore.
La giustificazione ufficiale, sia a livello nazionale che europeo, fa leva sulla necessità di ridurre l’impatto ambientale causato dall’eccessivo consumo di imballaggi in cartone e dai lunghi trasporti delle merci economiche. Tuttavia, questa motivazione è stata criticata come ipocrita da associazioni di consumatori e operatori del settore, che vedono nella tassa un mero strumento di aumento delle entrate fiscali, scaricato ancora una volta sulle spalle dei cittadini.
Le associazioni di consumatori, come l’Unione Nazionale Consumatori, hanno definito la misura una “pessima idea” che danneggia le famiglie, costrette a pagare prezzi più alti per compensare una scelta politica che protegge lobby incapaci di competere con i mercati asiatici. Inoltre, si sottolinea come la povertà e la riduzione del potere d’acquisto spingano molti italiani verso prodotti di bassa qualità, un problema che la manovra non affronta efficacemente.
La tassa sui pacchi: una misura nazionale con ripercussioni europee (www.alchimiadellepietre.it)






